venerdì 11 febbraio 2011

Le artiglierie della Real Marina Borbonica



Sul litorale nord di Messina, in zona di Pace – Grotta o Grotte, sono visibili due grossi cannoni di marina in ghisa, recuperati nella spiaggia sottostante parecchi decenni addietro ed esposti lungo la riviera. Così come in altri casi, il ritrovamento dei pezzi, seppur a distanza di qualche centinaio di metri l’uno dall’altro, è avvenuto nei pressi di ex presidi militari, ubicati nell’importante tratto costiero sorvegliato a sud dal fortino della Grotta, antico fortilizio di cui oggi rimangono pochi resti, ma che di fatto era una fortificazione permanente armata di batterie. A nord poco oltre la fiumara Guardia la difesa spettava invece all’omonimo fortino, oggi non più esistente, ma ancora attivo nel 1810-12 e oltre, segnalato come punto fortificato nel 1864 e dismesso nel 1866.

Il fortino della Grotta, di antica fattura, fu già attivo durante la rivolta antispagnola (1674-1678) e armato dagli spagnoli durante l’assedio di Messina del 1718. Nel 1734 nei suoi pressi sbarcarono gli stessi spagnoli nell’ambito delle operazioni di riconquista della Sicilia. Il luogo fu armato con nuove artiglierie nel 1799 e dal 1803 al 1805 il fortino fu comandato dall’alfiere La Scala, rinforzato nel 1810 da una batteria e trinceramenti Inglesi, ancora armato nel 1812 e classificato nel 1815 come forte di quinta classe. Fu inoltre oggetto di studio degli ingegneri militari austriaci nel 1821-1823, nonché luogo di operazioni durante i moti del 1848, segnalato come punto fortificato nel 1864 e dismesso nel 1866. In questo luogo nell’aprile 1860 sbarcò Rosolino Pilo, esiliato a Genova in quanto rivoluzionario durante i moti del 1848 e che cadrà in azione con l’esercito garibaldino nel maggio 1860 presso Palermo, contro i reparti del col. Von Mechel.

Il design di questi due massicci cannoni evidenzia una tipologia di artiglieria navale palesemente più moderna e rifinita anche nel metodo di fusione, con forme più tozze e poco slanciate per facilitare la manovra sulle navi e quindi dotata di grossi spessori, culatte e cerchiature allo scopo di resistere alle fortissime pressioni esercitate dallo scoppio delle cariche, utili a compensare e assicurare le prestazioni ottimali contro le navi nemiche, la cui progettazione era parecchio migliorata rispetto ai primi anni del secolo. I cannoni sin dal ritrovamento sono stati erroneamente attribuiti alla marina inglese e continuano ad essere denominati inglesi da media, studiosi e storici locali poco attenti, nonostante l’evidenza dei fatti riveli ben altra appartenenza. Infatti in realtà si tratta di pezzi da 36 libbre della real marina borbonica, perfettamente uguali ai cannoni visibili in vari luoghi in Sicilia e Campania. Le artiglierie di questo tipo facevano parte dell’armamento primario dei vascelli da 74 cannoni, in questo caso verosimilmente il vascello Sannita, varato a Castellammare nel 1792, dotato di tre ponti e due batterie armate di cui una coperta. Il Sannita che armava 28 pezzi da 36, fu danneggiato dopo l’ultima importante missione di scorta a Palermo nel 1798 e portato nel 1799 in dismissione a Messina.


Palermo - Cannoni posti all'ingresso del Comando Militare Regione Siciliana(Palazzo dei Normanni)

Facile l’identificazione per via dello stemma posto subito innanzi al campo di lumiera, composto da una corona reale borbonica con ancora sormontata dalle iniziali “FR”, quindi Ferdinando Rex, ovvero Ferdinando IV di Napoli, re di Sicilia dal 1759 al 1816 con il nome di Ferdinando III, nonché Ferdinando I delle Due Sicilie dal 1816 al 1825. Si consideri che il sovrano inglese dell’epoca era Giorgio III (regno 1760-1820) la cui corona e monogramma “GR” riscontrabili sulle relative artiglierie in corrispondenza degli orecchioni e anche sulle monete dell’epoca, non corrispondono palesemente con quelli in questione. La somiglianza o uguaglianza con cannoni di altre nazionalità, è giustificata dal fatto che molti stati commissionavano altrove (in particolare in Svezia) la fusione di artiglierie secondo progetti e design simili. Sulla faccia dell’orecchione sinistro sono riportate le date di fusione (1789 e 1791) visibili anche sotto lo stemma, sull’orecchione destro vi sono invece le iniziali AB del produttore, ovvero una specifica fonderia svedese. Le diverse date di fusione si rifanno al progetto (Napoli 1780) di istituire una grande flotta di vascelli e le successive produzioni dei cannoni in base al varo delle navi. A causa della scarsa qualità del “ferro del regno”, a partire dal 1772 nacquero negoziati per la fusione e l’acquisto di artiglierie in Svezia, in cui i materiali da impiegare erano certamente migliori.

Di conseguenza partirono per la Svezia varie commissioni per l’acquisto di centinaia di artiglierie in sostituzione di quelle ormai obsolete e decrepite. Considerata la tipologia di artiglieria, il motivo della presenza in tale luogo potrebbe spiegarsi con i resti di batterie costiere con cannoni dismessi da navi, posizionati durante il periodo murattiano. Esiste infatti un documenti di archivio che descrivono il posizionamento nel 1799 di 12 cannoni da 36 libbre in zona Piedigrotta e Paradiso. Tuttavia viste anche le date di fusione dei pezzi, una ipotesi più attendibile è quella riportata dal Marulli, circa due cannoni posizionati in loco nel 1848, anno dei moti rivoluzionari contro le truppe regie, ritiratesi nella zona falcata dopo aver lasciato gli altri presidi e circondate da decine di batterie siciliane di vario calibro. Tale fonte riporta infatti un lettera di Allegro del 19 giugno che racconta di due cannoni da 36 libbre sottratti dai rivoltosi all’arsenale nemico durante una sortita notturna presso il piano di Terranova, e posti in difesa costiera nel luogo del ritrovamento. Altre fonti confermano ciò riportando che durante i moti le truppe rivoluzionarie si impossessarono di 17 cannoni di grosso calibro appartenenti al dismesso vascello Sannita, ubicati presso i resti dell’arsenale del piano di Terranova. Infatti la necessità di posizionare artiglierie in questo luogo è ben evidente in una richiesta del 17 giugno 1848, fatta dal col. Miloro al direttore delle artiglierie siciliane col. Orsini, allo scopo di mettere in batteria appunto due cannoni presso Grotte e altri luoghi. Nello stesso tempo il piccolo parco delle artiglierie minori da 4 e 6 in bronzo e in ferro era stato raccolto proprio in questa zona.

Il rinvenimento dei cannoni sulla spiaggia trova spiegazione nel fatto che, falliti i moti a causa dello sbarco di forti truppe borboniche a sud di Messina, i rivoluzionari dovettero rapidamente abbandonare questo e gli altri presidi della città e ritirarsi verso Milazzo.
Si tratta di reperti interessanti, in condizioni tutto sommato buone nonostante la grave mancanza di manutenzione e cura, l’ubicazione esposta agli agenti atmosferici, l’uso come contenitore di cartacce (dentro le volate) e anche gli atti vandalici, i cui segni più recenti sono databili al mese di settembre ottobre 2010, mentre altri danni erano già stati provocati anni addietro nell’indifferenza generale.

Armando Donato
Responsabile Comitato Storico Siciliano– Messina.

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