sabato 16 luglio 2011

Repubblica: Replica al Dott. Juri Bossuto sui borbonici di Fenestrelle.

 



Mi sento in dovere di ribattere alle affermazioni storiche del Dott. Bossuto, apparse su Repubblica l'8 luglio 2011, secondo le quali i borbonici morti a Fenestrelle sarebbero soltanto 4.
Prima di iniziare però è necessario fare una premessa: l'articolo è stato scritto l'8 luglio ed in parte racconta anche lo svolgimento della manifestazione, si legge infatti di improbabili "vessilli leghisti" e di una "cerimonia antirisorgimentale" (come se commemorare dei morti, i propri, debba essere "anti" a prescindere). Peccato però che la manifestazione si è svolta il 9 di luglio, ovvero il giorno dopo.

Escludendo che il Dott. Bossuto abbia il dono della Preveggenza, ma allo stesso tempo non volendo pensare che Egli abbia voluto appositamente gettare discredito su quel momento di raccoglimento, ho pensato invece che quelli di Bossuto siano "concetti nati da suggestioni" gli stessi di cui, si sarebbe reso reo, come si legge nell'articolo, il Dott. Lorenzo Del Boca, giornalista e storico di fama nazionale, non certo improvvisato.

Ma andiamo ai fatti storici.

Dalle carte della rassegna mensile "L'italia militare" di Torino del 1864, emerge che nei soli mesi di ottobre e novembre del 1860 arrivarono a Genova i primi 8000 prigionieri borbonici, secondo la seguente scaletta:

7 ottobre 1860 = 900
17 ottobre 1860 = 360
8 novembre 1860 = 3600
11 novembre 1860 = 2330
24 novembre 1860 = 810

Questi soldati furono assegnati a vari dipartimenti, ognuno dei quali corrispondeva ad un campo di prigionia, Fenestrelle era il 5° dipartimento.

Con i dati a disposizione riesce facile capire che le prime truppe del Regno delle Due Sicilie vengono deportate nei campi del Nord Italia soltanto sul finire dell'anno 1860, ma d'altronde sarebbe bastato ricordarsi che Garibaldi sbarca a Marsala soltanto l'11 maggio...

Difatti i 4 soldati borbonici morti, di cui parla il Bossuto e presenti nell'archivio parrocchiale di Fenestrelle situato presso il Priorato di Mentoulle, sono deceduti rispettivamente nei giorni:

11 novembre 1860
23 novembre 1860
30 novembre 1860
idem

Considerando che le nuove spedizioni di prigionieri borbonici, di renitenti e di nuove leve dal Sud, sempre secondo "L'Italia Militare", iniziarono dal 1° febbraio 1861, è facile dedurre che la ricerca del Dottor Bossuto è stata eseguita in maniera inadeguata, concentrata su un arco temporale di appena 45 giorni su anni ed anni di prigionie e basandosi su frettolose ed approssimate ricerche compiute sugli atti di morte della Parrocchia, quando dall'Archivio di Stato di Torino dalle prime ricerche stanno fuoriuscendo decine di nomi.

Su una cosa di certo Bossuto ha ragione, a Fenestrelle non sono morte 40.000 persone, questo numero probabilmente non si avrà nemmeno sommando i decessi di tutti i campi di concentramento e prigionia del Nord Italia, direi però di partire dalla somma totale di 15.000 che "trapassarono da questa all'altra vita", come riporta la sopracitata rivista, avvenute tra la fine del 1860 ed il 1864. Una cifra sufficientemente spaventosa.

Davide Cristaldi
Comitato Storico Siciliano

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martedì 12 luglio 2011

La faccia oscura del Risorgimento



Articolo apparso su Controvoce n.22 del 3 giugno 2011
di Prof. Francesco Castrogiovanni, Sciacca (AG)

Da sempre si vede nel Risorgimento il compimento di un ideale nazionale portato a termine con l’annessione al Regno di Piemonte del Regno delle Due Sicilie e degli altri piccoli stati presenti al tempo sul suolo italiano. Protagonisti di questo periodo furono uomini il cui nome risuona nelle vie e nelle piazze di tutta la Penisola. Quelli di Cavour, Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele II sono solo alcuni dei nomi degli artefici di un' unità che trovava la sua forza, apparentemente, negli ideali di tanti sinceri patrioti, ma, più in concreto, negli interessi e negli intrighi di molte corti europee. Ma quegli anni furono davvero così gloriosi come da sempre vengono rappresentati nei libri di storia?

Secondo numerosi studiosi, anche locali, di varie epoche, il processo che portò all’Unità d’Italia non fu esattamente legale ed indolore per tutte quelle popolazioni del Meridione che vennero costrette a sottomettersi ad un sovrano di cui a malapena conoscevano l’esistenza, che parlava un'altra lingua (francese) e che si vantava di aver letto nella sua vita un solo libro: il regolamento militare. Lavori editoriali recenti e meno recenti ci fanno, infatti, scoprire aspetti dell’Unità poco noti. Ci fanno conoscere, ad esempio, Garibaldi diverso dall’eroe dei due mondi che ci hanno presentato da bambini ed infine e danno una spiegazione sorprendente del perché un Meridione che fino a centocinquanta anni fa era ricco e prospero, adesso si trovi ad essere la “palla al piede” di un Settentrione industrializzato e florido. A mo’ di esempio, un recente articolo pubblicato dal periodico partannese Kleos sull'istruzione elementare comunale in epoca borbonica a Partanna (TP) ci deve far riflettere riguardo il reale stato di progresso di quello Stato.
Ora, siccome la storia è fatta di fonti, ne cerchiamo per brevità solo qualcuna, fra le tante. Lo scrivente invita chiunque ne avesse desiderio a contattarlo e/o ad iniziare un dibattito su queste pagine. Procederemo per temi.

Tema 1: situazione siciliana preunitaria.
- Giacinto De Sivo (storico): “La Sicilia sotto il governo dei Borbone contava due milioni e mezzo di abitanti e con essi crebbero industrie, monumenti, ordine, sicurezza e prosperità… la popolazione era intelligente, ospitale e fantasiosa”.

Tema 2: spedizione dei Mille:
- La Farina, (fuoruscito messinese che intrallazzava con Cavour) “Esperos”, 24 gennaio 1862: «Per quattro anni lo scrittore di questi articoli vide quasi tutte le mattine il Conte di Cavour senza che alcuno dei suoi intimi amici lo sapesse. Andando sempre due o tre ore prima di giorno e sortendo spesso da una scaletta segreta, contigua alla sua camera da letto, quando in anticamera era qualcuno che lo potesse conoscere. E in uno di questi notturni abboccamenti – nel 1858 – fu presentato al Conte di Cavour il Generale Garibaldi venuto clandestinamente da Caprera”
- Ammiraglio Persano, comandante della flotta piemontese che per conto di Cavour, riforniva dal mare la spedizione e che corruppe gli ufficiali della Marina Borbonica: racconta nei suoi diari che Cavour gli aveva messo a disposizione presso alcuni banchieri amici suoi, che avevano una filiale a Napoli, un “credito illimitato”. Letteralmente: “La Casa de la Rue di Genova aprirà in Napoli, presso il banchiere Degas un credito illimitato a mia disposizione”
- Ancora Persano, corrispondenza con Cavour: “Ho dovuto somministrare, Eccellenza, altro denaro: 20.000 ducati al de Vicenzi, 2.0000 al console Panciotti, 4.000 al comitato. Mi toccò contrastare col de Vicenzi, presente il marchese di Villa Marina. Ei chiedeva più di 20mila ducati. Ed io non volevo neanche dargliene tanti”.
- Curletti, inviato da Cavour per sorvegliare Garibaldi: “Se Garibaldi, dittatore di Napoli e della Sicilia si accontentava di un modesto assegno di 10 franchi al giorno, i suoi non operavano con lo stesso disinteresse. Bertani, segretario di Garibaldi, prima della spedizione in Sicilia (1860 )era un semplice ufficiale di Sanità a Genova facendo visite ad un franco e cinquanta centesimi. Oggi, 1861, Bertani è colonnello di Stato Maggiore e la sua fortuna, secondo i più modesti calcoli, raggiunge almeno la cifra di 14 milioni! Non si conosce l’origine se non di 4 milioni. Ed anche l’origine di questi non è pura!...questi 4 milioni furono la mancia (allora si chiamavano mance, oggi si chiamano tangenti, nda) che Bertani pretese dai banchieri Adami e Comp. di Livorno perché fosse loro accordata una concessione di ferrovia che essi gradatamente sollecitavano”.

Tema 3: leva obbligatoria (di diversi anni) introdotta in Sicilia a pochi mesi dalla proclamazione dell'unità dopo secoli di esenzione (capitolo tragico della storia siciliana per via dei moltissimi giovani che non si presentarono con conseguenti violenze e soprusi sulla popolazione civile da parte delle autorità militari):
- Giornale di Genova “ Il Movimento” del 21 settembre 1863 + discorso del deputato Cordova al Parlamento di Torino: “a Marsala, come in tutti i paesi dell’Italia meridionale, essendovi dei renitenti alla leva viene bloccata la città da duemila soldati, comandati da un maggiore, che intima al municipio di consegnare gli sbandati...il sindaco protesta contro quel vandalismo, le proteste aggravano la situazione, si chiudono le strade di comunicazione, i commerci fermati, i contadini fermati e arrestati: ne furono imprigionati circa tremila, tolti ai loro lavori e gettati, come sacchi di paglia in una catacomba mai adoperata sotto i Borbone. Il maggiore, saputo che fu il prefetto, fu avvertito per far cessare quelle violenze, aumentò gli arresti, le minacce, le persecuzioni, le torture dei malcapitati, come se si vivesse ai tempi di Attila...l’atroce spasmo dei carcerati sotto terra, che esce come rombo apportatore della bufera, le strida di tanti bimbi che dimenandosi con le manine, cercano la madre che li allatti”.
- Deputato siculo D’Ondes Reggio, discorso del 5 dicembre del 1863 alla Camera dei deputati di Torino:” Devo esprimere a voi fatti miserandi e sui quali il ministero non accetta inchiesta. Eppure non si tratta di partiti politici; ma dei diritti,della giustizia e dell’umanità orrendamente violati! I siciliani non hanno mai avuto leva militare, e repugnano ad essere arruolati...il Governo ha fatto una legge eccezionale, che è eseguita con ferocia...il comandante piemontese Frigerio, il 15 di agosto del 1863, intima al comune di Licata, 22 mila abitanti, di far presentare entro poche ore i renitenti alla leva privando l’intera città di acqua, vieta ai cittadini di uscire di casa pena la fucilazione istantanea e di altre più severe misure. A Licata vennero chiusi in carceri le madri, le sorelle, i parenti dei contumaci alla leva, sottoposti a tortura fino a spruzzare il sangue delle carni; uccisi i giovinetti a colpi di frusta e di baionetta; fatta morire una donna gravida! Della stessa barbarie e degli stessi delitti si macchiarono i militari di Trapani, di Girgenti, di Sciacca, di Favara, di Bagheria, di Calatafimi, di Marsala e di altri comuni...un altro comandante piemontese dispone l’arresto di tutti coloro dai cui volti si sospetti d’essere coscritti di leva, e anche l’arresto dei genitori e dei maestri d’arte dei contumaci: questo avveniva a Palermo”
- Libro dei morti, Chiesa Madre di Castellammare del Golfo: “Romano Angela filia Petri et Joanna Pollina consortis. Etatis sua an.9 circ.Hdie hor.15 circ in C.S.M.E Animam Deo redditit absque sacramentis in villa sic dicta della Falconera quia interfecta fuit at MILITIBUS REGIS ITALIE. Eius corpus sepultum est in campo sancto novo." (Vicenda tragica, si tratta di una bambina di nove anni fucilata a Castellammare del Golfo insieme a Don Benedetto Palermo, di anni 43, sacerdote, Mariano Crociata, di anni 30, Marco Randisi, di anni 45, Anna Catalano, di anni 50, Antonino Corona, di anni 70; Angelo Calamia, di anni 70; Erano le ore 13 di venerdì 3 gennaio 1862. Non seppero o non vollero dire dove si fossero nascosti dei giovani renitenti)
- Libro dei morti di Fenestrelle, lager piemontese per soldati borbonici che non tradirono mai, “briganti” e renitenti siciliani alla leva (migliaia e migliaia di morti sciolti nella calce viva): il 10 novembre 1866 registra la morte, all’età di venticinque anni, del castelvetranese Montalto Michele figlio di Francesco e di illeggibile Giacomina.

Tema 4: brigantaggio (che fu in buona sostanza guerra partigiana fomentata dalla Chiesa e da Francesco II in esilio; vi furono fatti di sangue terribili ed esempi di rappresaglie dei fratelli d’Italia sulla popolazione civile)
- Carlo Margolfo, bersagliere partecipe alla strage di Pontelandolfo, in cui sono stimati almeno duemila morti, per una rappresaglia: “Entrammo nel paese: subito abbiamo incominciato a fucilare i preti ed uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l'incendio al paese, abitato da circa 4.500 abitanti. Quale desolazione, non si poteva stare d'intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l'incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava, ma che fare? non si poteva mangiare per la gran stanchezza della marcia di 13 ore: quattordicesima tappa. Fu successo tutto questo in seguito a diverse barbarie commesse dal paese di Pontelandolfo: sentirete, un nido di briganti...”
Durante la strage, altre fonti raccontano che molte donne furono uccise e violentate. Una ragazza di sedici anni, legata ad un palo in una stalla, fu stuprata da dieci bersaglieri, davanti agli occhi del padre, e poi assassinata. I soldati entrarono in casa di un tal Giuseppe Santopietro che stringeva il figlioletto tra le braccia, e li trucidarono entrambi a colpi di baionetta. A Raffaele Barbieri fu strappata la lingua e il poveretto soffocò nel suo stesso sangue. Le chiese vennero profanate, perfino nei tabernacoli con le ostie consacrate, e spogliate di tutto. Trenta donne radunatesi terrorizzate ai piedi di una croce nella piazza del paese vennero sventrate a colpi di baionetta.

A proposito di brigantaggio, la retorica post unitaria parla di delinquenti non di partigiani. In effetti fino ad allora c'erano stati i briganti, come è sempre capitato ovunque. Ma ora c'era il brigantaggio; tra l’una e l’altra parola corre grande divario. Sono briganti se il popolo non li aiuta, quando si ruba per vivere o per morire con la pancia piena; col brigantaggio la causa del brigante è la causa del popolo.
Concludo questo mio intervento per proclamare il mio convinto W l'Italia unita e repubblicana.
Vorrei però che anche le vittime meridionali della storia fossero ricordate perché non sono vittime di serie B. I civili di Pontelandolfo e gli innocenti di Castellammare del Golfo, i briganti partigiani leali a Francesco II sono italiani innocenti o morti per un ideale, come le vittime delle Fosse Ardeatine, ma nessuna carica dello Stato le ricorda. Perché? Perché non si riesce a fare i conti col nostro passato? W l'unità nella verità, la verità rafforza l'unità!

Prof. Francesco Castrogiovanni
castrogiovannifranco@tiscali.it

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sabato 9 luglio 2011

Il reperto storico recuperato sarebbe una "carronata" (LA SICILIA)


IPOTESI DELLO STORICO DONATO

Portopalo. Non sarebbe un cannone risalente alla battaglia di Capo Passero del 1718 il reperto recuperato alcuni gironi fa a Portopalo. Ad avanzare l'ipotesi è lo storico militare Armando Donato, del Comitato Due Sicilie di Messina. Il pezzo ritrovato sarebbe una carronata.

«Si tratta - afferma Donato - di una particolare arma dal design tozzo e volata corta, progettata a partire dagli ultimi trenta anni del Settecento e armata su varie tipologie di navi per il combattimento a corta distanza e distruttivo mediante palla o granata».
Secondo Donato, vari sono i modelli e i calibri delle carronate prodotte nel tempo, sostanzialmente utilizzate sino alla metà dell'Ottocento e oltre, seppur l'avvento dei cannoni obici modello Paixhans e Millar ne avesse già dagli anni Venti-Trenta dell'Ottocento da tempo limitato il valore prestazionale, anche a causa di alcuni svantaggi tecnici.

«Il pezzo in questione - conclude lo storico militare - non è dunque un cannone, né può riferirsi alla battaglia di Capo Passero tra le flotte spagnola e inglese nell'agosto del 1718, poiché in quell'epoche la carronata non esisteva ancora». Per avere elementi certi per la datazione del reperto è necessario aspettare la ripulitura del pezzo d'artiglieria, da sottoporre quindi a pesatura e misurazione in tutte le sue parti. L'esame approfondito servirà a rilevare eventuali date e marchi di fusione per potere identificare con certezze le origini e ricostruirne la storia.

SERGIO TACCONE
La Sicilia, Edizione di Siracusa, 9 luglio 2011

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giovedì 7 luglio 2011

Sul cannone rinvenuto recentemente a Porto Palo di Capo Passero (SR)


La carronata di Portopalo

di Armando Donato M.
Comitato Storico Siciliano - Messina

Il pezzo di artiglieria ritrovato nei fondali di Portopalo, è un carronata, ovvero una particolare arma dal design tozzo e volata corta, progettata a partire dagli ultimi trenta anni del Settecento e armata su varie tipologie di navi per il combattimento a corta distanza e distruttivo mediante palla o granata.

Vari sono i modelli e i calibri delle carronate prodotte nel tempo, sostanzialmente utilizzate sino alla metà dell’Ottocento e oltre, seppur l’avvento dei cannoni obici mod. Paixhans e Millar ne avesse già dagli anni Venti-Trenta dell’ Ottocento da tempo limitato il valore prestazionale, anche a causa di alcuni svantaggi tecnici.
Il pezzo in questione non è dunque un cannone, né può riferirsi alla battaglia di Capo Passero tra le flotte spagnola e inglese nell’agosto del 1718, poiché in quell’epoche la carronata non esisteva ancora.

Tuttavia per poter dare ulteriori e specifiche notizie, è necessario che l’artiglieria venga ripulita, pesata, misurata in tutte le sue parti ed esaminata allo scopo di rilevare eventuali date e marchi di fusione che ne possano identificare le origini, l’appartenenza e il calibro e di conseguenza ricostruirne la storia.

Armando Donato - storico militare

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mercoledì 6 luglio 2011

Capo Peloro, i cannoni-obici mod. Millar e Paixhans armati nelle batterie garibaldine nell’estate del 1860



di Armando Donato M.
Responsabile Comitato Storico Siciliano - Messina
Messina 6 luglio 2011

Tra le batterie armate dai garibaldini sulla costa nord dello stretto di Messina nel 1860, indicate nella relativa carta delle coste con tanto di quota, tipi di artiglierie suddivisibili in cannoni, cannoni-obici, obici e mortai, nonché i tipi di affusto e settore di tiro; una in particolare fa ben comprendere come i tre noti cannoni recuperati in loco nel 2010, nonostante le evidenti forzature storiche, qualora ci fosse ancora qualche dubbio e come viene sostenuto da tempo, nulla hanno a che vedere con le grosse artiglierie usate in difesa costiera garibaldina.


Infatti così come segnala chiaramente la carta, la batteria N° III armata nei pressi della zona del recupero dei tre ferrivecchi (è bene tenere nella giusta considerazione che i luoghi in cui furono armate le batterie garibaldine, erano già stati sedi di più antiche postazioni, trinceramenti e fortificazioni in genere, protagoniste di numerosi eventi bellici) si componeva di artiglierie di grosso calibro di preda bellica napoletana, ovvero un pezzo da 24 libbre, due da 60 libbre e successivamente due da 80 libbre, tutti su affusti da marina.

Premesso ciò, non è necessario elencare ed esibire varie documentazioni d’epoca (ne esistono decine e decine di varia natura circa le batterie armate in loco), ma basta avere un minima conoscenza nel settore per comprendere che la batteria armava i cannoni-obici mod. Millar da 60 libbre da marina a bomba (prima metà dell’Ottocento), cioè quelli della ex pirofregata Veloce (poi Tuckery) smontati dalla nave, armati a fine luglio a Capo Peloro e gestiti degli stessi pochi marinai cannonieri borbonici ammutinatisi. Gli 80 libbre erano invece i famosi cannoni -obici mod. Paixhans da marina a bomba, (prima metà dell’800) usati a Messina anche nei fatti del 1848.

Il 24 libbre invece, calibro minimo utile, ampiamente utilizzato nelle batterie costiere poiché grazie al maggiore rapporto volata – alesaggio, in gittata rendeva di più dei grossi 36 libbre (armati in altre batterie), poteva essere uno dei tanti pezzi borbonici utilizzati in Sicilia già a partire dalla fine del Settecento inizi Ottocento, tenendo conto che qualsiasi regno (borbonico compreso) procedeva sistematicamente nel tempo al rinnovamento delle Piazze con nuove varie artiglierie e regolamenti sia a scopi difensivi che offensivi, eliminando quelle vetuste e inservibili.

Risulta più che evidente, leggendo la carta succitata, che dunque nel 1860 per la copertura costiera contro le moderne navi borboniche, veloci (sistemi propulsivi termici ausiliari), ben protette e armate per il tiro a lunga distanza (ad es. la pirofregata Borbone), erano necessarie grosse artiglierie quantomeno simili e di uguale potenza, non certo i tre pezzi in questione, da considerarsi come piccola e antica ferraglia inservibile e inefficace, progettata in epoche remotissime, rispondente ad esigenze superate da secoli avendo caratteristiche e prestazioni “ridicole” rispetto alla tecnologia di metà Ottocento.

I cannonieri garibaldini che di certo non erano pazzi suicidi, al fine di proteggere le coste da navi nemiche a dir poco pericolose, applicarono questi semplici e ovvi concetti, armando artiglierie il più possibile adeguate all’epoca, nonostante evidenziassero già i limiti prestazionali per via dell’età (20- 40- 80 anni) e fossero considerate vetuste per via dell’utilizzo di più moderne artiglierie. L’argomento è molto vasto e complesso, tuttavia in tal caso per chiarire il tutto sono più che sufficienti queste poche righe.
Minimo sforzo-massimo rendimento.

Armando Donato

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