martedì 12 luglio 2011

La faccia oscura del Risorgimento



Articolo apparso su Controvoce n.22 del 3 giugno 2011
di Prof. Francesco Castrogiovanni, Sciacca (AG)

Da sempre si vede nel Risorgimento il compimento di un ideale nazionale portato a termine con l’annessione al Regno di Piemonte del Regno delle Due Sicilie e degli altri piccoli stati presenti al tempo sul suolo italiano. Protagonisti di questo periodo furono uomini il cui nome risuona nelle vie e nelle piazze di tutta la Penisola. Quelli di Cavour, Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele II sono solo alcuni dei nomi degli artefici di un' unità che trovava la sua forza, apparentemente, negli ideali di tanti sinceri patrioti, ma, più in concreto, negli interessi e negli intrighi di molte corti europee. Ma quegli anni furono davvero così gloriosi come da sempre vengono rappresentati nei libri di storia?

Secondo numerosi studiosi, anche locali, di varie epoche, il processo che portò all’Unità d’Italia non fu esattamente legale ed indolore per tutte quelle popolazioni del Meridione che vennero costrette a sottomettersi ad un sovrano di cui a malapena conoscevano l’esistenza, che parlava un'altra lingua (francese) e che si vantava di aver letto nella sua vita un solo libro: il regolamento militare. Lavori editoriali recenti e meno recenti ci fanno, infatti, scoprire aspetti dell’Unità poco noti. Ci fanno conoscere, ad esempio, Garibaldi diverso dall’eroe dei due mondi che ci hanno presentato da bambini ed infine e danno una spiegazione sorprendente del perché un Meridione che fino a centocinquanta anni fa era ricco e prospero, adesso si trovi ad essere la “palla al piede” di un Settentrione industrializzato e florido. A mo’ di esempio, un recente articolo pubblicato dal periodico partannese Kleos sull'istruzione elementare comunale in epoca borbonica a Partanna (TP) ci deve far riflettere riguardo il reale stato di progresso di quello Stato.
Ora, siccome la storia è fatta di fonti, ne cerchiamo per brevità solo qualcuna, fra le tante. Lo scrivente invita chiunque ne avesse desiderio a contattarlo e/o ad iniziare un dibattito su queste pagine. Procederemo per temi.

Tema 1: situazione siciliana preunitaria.
- Giacinto De Sivo (storico): “La Sicilia sotto il governo dei Borbone contava due milioni e mezzo di abitanti e con essi crebbero industrie, monumenti, ordine, sicurezza e prosperità… la popolazione era intelligente, ospitale e fantasiosa”.

Tema 2: spedizione dei Mille:
- La Farina, (fuoruscito messinese che intrallazzava con Cavour) “Esperos”, 24 gennaio 1862: «Per quattro anni lo scrittore di questi articoli vide quasi tutte le mattine il Conte di Cavour senza che alcuno dei suoi intimi amici lo sapesse. Andando sempre due o tre ore prima di giorno e sortendo spesso da una scaletta segreta, contigua alla sua camera da letto, quando in anticamera era qualcuno che lo potesse conoscere. E in uno di questi notturni abboccamenti – nel 1858 – fu presentato al Conte di Cavour il Generale Garibaldi venuto clandestinamente da Caprera”
- Ammiraglio Persano, comandante della flotta piemontese che per conto di Cavour, riforniva dal mare la spedizione e che corruppe gli ufficiali della Marina Borbonica: racconta nei suoi diari che Cavour gli aveva messo a disposizione presso alcuni banchieri amici suoi, che avevano una filiale a Napoli, un “credito illimitato”. Letteralmente: “La Casa de la Rue di Genova aprirà in Napoli, presso il banchiere Degas un credito illimitato a mia disposizione”
- Ancora Persano, corrispondenza con Cavour: “Ho dovuto somministrare, Eccellenza, altro denaro: 20.000 ducati al de Vicenzi, 2.0000 al console Panciotti, 4.000 al comitato. Mi toccò contrastare col de Vicenzi, presente il marchese di Villa Marina. Ei chiedeva più di 20mila ducati. Ed io non volevo neanche dargliene tanti”.
- Curletti, inviato da Cavour per sorvegliare Garibaldi: “Se Garibaldi, dittatore di Napoli e della Sicilia si accontentava di un modesto assegno di 10 franchi al giorno, i suoi non operavano con lo stesso disinteresse. Bertani, segretario di Garibaldi, prima della spedizione in Sicilia (1860 )era un semplice ufficiale di Sanità a Genova facendo visite ad un franco e cinquanta centesimi. Oggi, 1861, Bertani è colonnello di Stato Maggiore e la sua fortuna, secondo i più modesti calcoli, raggiunge almeno la cifra di 14 milioni! Non si conosce l’origine se non di 4 milioni. Ed anche l’origine di questi non è pura!...questi 4 milioni furono la mancia (allora si chiamavano mance, oggi si chiamano tangenti, nda) che Bertani pretese dai banchieri Adami e Comp. di Livorno perché fosse loro accordata una concessione di ferrovia che essi gradatamente sollecitavano”.

Tema 3: leva obbligatoria (di diversi anni) introdotta in Sicilia a pochi mesi dalla proclamazione dell'unità dopo secoli di esenzione (capitolo tragico della storia siciliana per via dei moltissimi giovani che non si presentarono con conseguenti violenze e soprusi sulla popolazione civile da parte delle autorità militari):
- Giornale di Genova “ Il Movimento” del 21 settembre 1863 + discorso del deputato Cordova al Parlamento di Torino: “a Marsala, come in tutti i paesi dell’Italia meridionale, essendovi dei renitenti alla leva viene bloccata la città da duemila soldati, comandati da un maggiore, che intima al municipio di consegnare gli sbandati...il sindaco protesta contro quel vandalismo, le proteste aggravano la situazione, si chiudono le strade di comunicazione, i commerci fermati, i contadini fermati e arrestati: ne furono imprigionati circa tremila, tolti ai loro lavori e gettati, come sacchi di paglia in una catacomba mai adoperata sotto i Borbone. Il maggiore, saputo che fu il prefetto, fu avvertito per far cessare quelle violenze, aumentò gli arresti, le minacce, le persecuzioni, le torture dei malcapitati, come se si vivesse ai tempi di Attila...l’atroce spasmo dei carcerati sotto terra, che esce come rombo apportatore della bufera, le strida di tanti bimbi che dimenandosi con le manine, cercano la madre che li allatti”.
- Deputato siculo D’Ondes Reggio, discorso del 5 dicembre del 1863 alla Camera dei deputati di Torino:” Devo esprimere a voi fatti miserandi e sui quali il ministero non accetta inchiesta. Eppure non si tratta di partiti politici; ma dei diritti,della giustizia e dell’umanità orrendamente violati! I siciliani non hanno mai avuto leva militare, e repugnano ad essere arruolati...il Governo ha fatto una legge eccezionale, che è eseguita con ferocia...il comandante piemontese Frigerio, il 15 di agosto del 1863, intima al comune di Licata, 22 mila abitanti, di far presentare entro poche ore i renitenti alla leva privando l’intera città di acqua, vieta ai cittadini di uscire di casa pena la fucilazione istantanea e di altre più severe misure. A Licata vennero chiusi in carceri le madri, le sorelle, i parenti dei contumaci alla leva, sottoposti a tortura fino a spruzzare il sangue delle carni; uccisi i giovinetti a colpi di frusta e di baionetta; fatta morire una donna gravida! Della stessa barbarie e degli stessi delitti si macchiarono i militari di Trapani, di Girgenti, di Sciacca, di Favara, di Bagheria, di Calatafimi, di Marsala e di altri comuni...un altro comandante piemontese dispone l’arresto di tutti coloro dai cui volti si sospetti d’essere coscritti di leva, e anche l’arresto dei genitori e dei maestri d’arte dei contumaci: questo avveniva a Palermo”
- Libro dei morti, Chiesa Madre di Castellammare del Golfo: “Romano Angela filia Petri et Joanna Pollina consortis. Etatis sua an.9 circ.Hdie hor.15 circ in C.S.M.E Animam Deo redditit absque sacramentis in villa sic dicta della Falconera quia interfecta fuit at MILITIBUS REGIS ITALIE. Eius corpus sepultum est in campo sancto novo." (Vicenda tragica, si tratta di una bambina di nove anni fucilata a Castellammare del Golfo insieme a Don Benedetto Palermo, di anni 43, sacerdote, Mariano Crociata, di anni 30, Marco Randisi, di anni 45, Anna Catalano, di anni 50, Antonino Corona, di anni 70; Angelo Calamia, di anni 70; Erano le ore 13 di venerdì 3 gennaio 1862. Non seppero o non vollero dire dove si fossero nascosti dei giovani renitenti)
- Libro dei morti di Fenestrelle, lager piemontese per soldati borbonici che non tradirono mai, “briganti” e renitenti siciliani alla leva (migliaia e migliaia di morti sciolti nella calce viva): il 10 novembre 1866 registra la morte, all’età di venticinque anni, del castelvetranese Montalto Michele figlio di Francesco e di illeggibile Giacomina.

Tema 4: brigantaggio (che fu in buona sostanza guerra partigiana fomentata dalla Chiesa e da Francesco II in esilio; vi furono fatti di sangue terribili ed esempi di rappresaglie dei fratelli d’Italia sulla popolazione civile)
- Carlo Margolfo, bersagliere partecipe alla strage di Pontelandolfo, in cui sono stimati almeno duemila morti, per una rappresaglia: “Entrammo nel paese: subito abbiamo incominciato a fucilare i preti ed uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l'incendio al paese, abitato da circa 4.500 abitanti. Quale desolazione, non si poteva stare d'intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l'incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava, ma che fare? non si poteva mangiare per la gran stanchezza della marcia di 13 ore: quattordicesima tappa. Fu successo tutto questo in seguito a diverse barbarie commesse dal paese di Pontelandolfo: sentirete, un nido di briganti...”
Durante la strage, altre fonti raccontano che molte donne furono uccise e violentate. Una ragazza di sedici anni, legata ad un palo in una stalla, fu stuprata da dieci bersaglieri, davanti agli occhi del padre, e poi assassinata. I soldati entrarono in casa di un tal Giuseppe Santopietro che stringeva il figlioletto tra le braccia, e li trucidarono entrambi a colpi di baionetta. A Raffaele Barbieri fu strappata la lingua e il poveretto soffocò nel suo stesso sangue. Le chiese vennero profanate, perfino nei tabernacoli con le ostie consacrate, e spogliate di tutto. Trenta donne radunatesi terrorizzate ai piedi di una croce nella piazza del paese vennero sventrate a colpi di baionetta.

A proposito di brigantaggio, la retorica post unitaria parla di delinquenti non di partigiani. In effetti fino ad allora c'erano stati i briganti, come è sempre capitato ovunque. Ma ora c'era il brigantaggio; tra l’una e l’altra parola corre grande divario. Sono briganti se il popolo non li aiuta, quando si ruba per vivere o per morire con la pancia piena; col brigantaggio la causa del brigante è la causa del popolo.
Concludo questo mio intervento per proclamare il mio convinto W l'Italia unita e repubblicana.
Vorrei però che anche le vittime meridionali della storia fossero ricordate perché non sono vittime di serie B. I civili di Pontelandolfo e gli innocenti di Castellammare del Golfo, i briganti partigiani leali a Francesco II sono italiani innocenti o morti per un ideale, come le vittime delle Fosse Ardeatine, ma nessuna carica dello Stato le ricorda. Perché? Perché non si riesce a fare i conti col nostro passato? W l'unità nella verità, la verità rafforza l'unità!

Prof. Francesco Castrogiovanni
castrogiovannifranco@tiscali.it

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